lunedì 26 febbraio 2018

mercoledì 14 febbraio 2018

Per raccontare e far conoscere quello che facciamo con il progetto "l'Armadio dei Pigiami" in collaborazione con l'APS Borgo Ticino, ecco l'intervista a Vito Bellino della giornalista Daniela Scherrer.

Si parte con una semplice misurazione della pressione arteriosa. Si arriva dove è praticamente impossibile se operi nella frenesia di una corsia d’ospedale, ossia a creare un rapporto di counseling con l’interlocutore. E’ l’infermieristica del territorio, che a Pavia sta vivendo una esperienza speciale in Borgo Ticino, grazie all’impegno congiunto del presidente di Ains Ruggero Rizzini, della presidente dell’Aps locale Liala Marchetti e della Cooperativa ConVoi, presieduta da Enrica Maiocchi, che mette a disposizione il personale. Si tratta dell’infermiere di quartiere, presente nella sede dell’Aps di via dei Mille ogni settimana, al mercoledì, dalle 15 alle 17.
In quella zona decentrata di Pavia, dove gli anziani avvertono decisamente la mancanza di una sede territoriale dell’Asl, l’infermiere di quartiere bussa alla porta dell’Associazione borghigiana e, tra un ballo e una partita a carte, si mette a disposizione per alcune prestazioni infermieristiche ma, spesso, diventa per gli utenti anche un prezioso interlocutore per un consiglio o semplicemente per una parola di incoraggiamento. Un vero e proprio “counselor”, insomma.
A ricoprire il ruolo adesso è Vito Bellino, 31 anni, infermiere domiciliare in forza alla Cooperativa ConVoi e specializzato con un Master in infermieristica di famiglia.
“Penso che quella sul territorio sia la vera infermieristica –spiega Vito- esercitare la professione tra le quattro mura di un ospedale è infatti molto diverso che farlo tra le pareti di una casa o di un salone”. Entrare in un Aps zeppa di pensionati è stata esperienza nuova anche per Vito.
- Qual è stato il primo impatto? Si ricorda il suo primo giorno in Borgo Ticino, ad ottobre?
“Lo ricordo benissimo perché ero un po’ agitato. Non avevo mai fatto qualcosa di simile, entrare in una comunità di persone è comunque ancora differente rispetto all’infermieristica di famiglia perché non hai di fronte una persona singola o un nucleo familiare, ma tanta gente con specifiche esigenze e che nei mesi precedenti si era già rapportata con altri colleghi”.
- Qual è stato quindi l’approccio?
“Inizialmente sono partito con le misurazioni più semplici, che sono però anche le più desiderate dagli anziani: pressione, frequenza cardiaca, saturazione dell’ossigeno, glicemia… poi però rivedi ogni mercoledì all’incirca le stesse persone e con loro si inizia a costruire un rapporto di counseling. Tra un ballo e l’altro la gente viene da te e misurare la pressione diventa a volte l’occasione per aprirsi con un infermiere e parlare dei propri piccoli bisogni”.
- Che cosa le chiede la gente mentre misura la pressione…
“Un po’ di tutto: qualche delucidazione sulla terapia, come funziona il glucosimetro quando magari hanno appena scoperto di essere diabetici, anche come attivare un nuovo servizio o come prenotare una visita, visto che adesso è molto richiesto l’uso del computer ma gli anziani si trovano in difficoltà con la tecnologia”.
- Le richieste restano confinate all’ambito sanitario o ha l’impressione che l’infermiere diventi anche una sorta di punto di riferimento sotto il profilo umano?
“Certamente alcuni hanno voglia anche di parlare delle loro criticità familiari. Sono tante le persone che vivono da sole e che comprensibilmente desiderano anche un confronto umano. Ecco perché mi piace parlare di counseling”.
- Considera questo un aspetto problematico o arricchente per la sua professione?
“Direi molto arricchente. Il contatto umano con le persone ti permette di sviluppare potenzialità che magari neppure immaginavi di avere. Questa esperienza ad esempio sta migliorando le mie doti comunicative, la capacità di ascoltare e di essere pronto a dare risposte, mi aiuta ad aprirmi maggiormente con la gente. Per questo è una esperienza che consiglio a tutti gli infermieri. E’ un grande campo d’azione per la propria professionalità ma anche per se stessi”.
- Un’esperienza che potrebbe quindi essere utile anche nel percorso di preparazione alla professione infermieristica?
“Sì, penso che dovrebbe diventare un’esperienza obbligatoria per gli studenti, che spesso si laureano senza avere conoscenza del mondo del territorio ma solo di una corsia. E penso anche che i progetti in elaborazione sia a livello regionale che nazionale dovrebbero tramutarsi in qualcosa di organico affinchè la figura dell’infermiere di famiglia possa quanto prima aggiungersi a quella del medico di famiglia”.
Daniela Scherrer
Me l'hanno raccontato e ancora, dopo ore, faccio fatica a crederci perchè non è possibile che ci sia qualcuno così.
"Il figlio di un uomo che sta morendo è in corridoio e sta telefonando non si sa a chi ma probabilmente un parente, dicendogli che non c'è più niente da fare, che è inutile sperare in un miglioramento e che se anche si sente qualcun altro, non è mica Dio, oramai non si può più fare niente. Ad un certo punto esce da una stanza un'infermiere che dice al signore c...he non può stare in corridoio e che se deve telefonare deve uscire.".
Provate ad immaginare la scena: la disperazione di quel figlio, l'Infermiere che dice una frase così, lui che forse non comprende a pieno ciò che gli è stato detto ma si scusa e si sposta.
Chi mi ha raccontato questa storia mi ha detto che la criticità della situazione durava da almeno una settimana per cui quell'infermiere non poteva non sapere e non vedere.
Da questo racconto cosa concludo?
La sanità non è disumana, i contorni si.

Non sto buttando merda contro la mia professione che mi piace ancora. E' solo che non è possibile che un collega sia così insensibile, indifferente al dolore e al disagio altrui, così stupidio e distante all'altro.
E' vero quello che canta De Andrè e cioè che "il dolore degli altri è un dolore a metà" però, non può esserlo per chi fa una professione come quella infermieristica. Non dobbiamo farci carico del dolore degli altri però capirlo si. Sarò un illuso, sarò un povero sognatore, sarò quello che si vuole, credo però che fare l'Infermiere sia altro, soprattutto capire la situazione, i vari contorni.
 

Ecco il primo pezzetto d'umanità, di solidarietà, di condivisione, di tutto quello che vogliamo per vivere bene. Una mano tesa dopo l'appello lanciato per un obiettivo da raggiungere insieme: 40 sostegni scolastici presso il nostro Comedor Infantil in Guatemala. Oggi è arrivato il primo. Ne mancano solo 39. Manca poco, vi aspettiamo!!!!!
Grazie alla Provincia Pavese, al suo direttore e a tutti i giornalisti che sono sempre sensibili e disponibili.
Quando in una bottega piccola (dove in due persone si fa fatica a starci dentro) come la nostra, che promuove prodotti di cooperative lombarde, per il secondo anno consecutivo si arriva con il passa parola a vendere 500 panettoni prodotti da carcerati (Carcere Beccaria di Milano) usando materie prime del contadino e a km giusto, significa che la gente, attenta a quello che spende (un panettone che pesa un chilogrammo ha un costo in bottega di 23 euro), ha voglia di mangiare b...ene, buono, sano, meglio se etico ad un prezzo giusto.
Lo stesso vale per il cioccolato, per i biscotti, per il caffè e per tutti quei prodotti che promuoviamo in bottega, nella nostra piccola bottega, dove tutti noi siamo volontarie e abbiamo fatto una scelta ben precisa: far conoscere attraverso i loro prodotti, tutte quelle realtà sociali, cooperative, laboratori della Lombardia o comunque a Km giusto che credono che il cibo e la sua trasformazione sia una cosa importante che necessita di rispetto dei tempi della natura e dell'uomo. A noi preme innanzitutto raccontare che i prodotti che vi proponiamo portano con se una storia, un'idea e una lavorazione che richiedono tempo, energie ed impegno che hanno certamente un prezzo - quello giusto - ma soprattutto un grande valore.

Antonella, Federica, Giulia, Serena, Vittoria
Socie Volontarie di “Prese Nella Rete”, Corso Garibaldi 16, Pavia