Giovanni Serafini Settimanale Il piacere della Lettura, sabato 25 giugno 2016
Una terra senza riparo in cui le donne sono la preda
designata, ombre umane cui nessuno s’interessa. Storie di violenze, di stupri,
di torture, di corpi venduti, di speranze umiliate: è in questo mondo disumano
che ci accompagna la giovane giornalista francese Camilla Panhard. Protagoniste
del suo libro (“No women’s land”, edito da Les Arènes) sono le donne che ogni
anno scappano a migliaia dall’Honduras, dal Guatemala, dal Salvador, dal
Nicaragua. SONO le “altre migranti”, una realtà di cui da noi si parla poco,
fiume umano in fuga verso gli Stati Uniti per sfuggire alla fame, alla
prostituzione forzata, al dominio delle gang. Il loro viaggio dura settimane, a
piedi, sul tetto di un treno, a bordo di autobus scassati. Un pellegrinaggio
attraverso l’inferno durante il quale molte di loro scompaiono nel nulla:
rapite da trafficanti che le vendono come schiave sessuali o le uccidono a
colpi di machete per derubarle. Conoscono i rischi che corrono, sanno che il
tragitto sarà un calvario, ma non hanno scelta. L’unico barlume di luce nel
tunnel dell’orrore è l’aiuto della Chiesa cattolica: 52 rifugi in tutto il
Messico gestiti da preti coraggiosi che non negano mail il soccorso, neanche al
prezzo della vita. Come mai non c’è traccia nelle
nostre cronache di queste migranti del Centro America? “Sono storie
che avvengono lontano da noi, dall’altra parte del mondo. Io stessa le ho
scoperte per caso, in occasione di un viaggio per turismo in Messico. Non
sapevo niente di quel mondo di mafia, di corruzione , di omicidi, di
compravendita di corpi umani. La lotta per la vita di queste eroine anonime mi
ha affascinato e ho deciso di condurre un’inchiesta, durata 5 anni, per far
conoscere a tutti le storie di Claudia, Mercedes, Ilka, Kristin, Griselda,
Johanna, Sonia e tante altre”.
Cos’è che l’ha colpita maggiormente?
“I viaggi di quelle disgraziate sui tetti dei vagoni ferroviari. Lo
spazio è minimo, la gente è tantissima. Se ti addormenti sei finito: è facile
che ti buttino giù per guadagnare un po’ di spazio. Le donne sono più deboli,
dunque più esposte. Il treno ha nomi diversi a seconda dei territori che
attraversa: quello del Ciapas si chiama “la bestia”, quello che arriva a
Veracruz è “il verme d’acciaio”, quello che percorre i deserti del Nord è “il
cavallo di ferro”. Le soste sono pericolosissime. Le stazioni sono piene di
banditi. Non puoi fidarti di nessuno”. Perché rapiscono le donne? “I
trafficanti chiedono un riscatto alle famiglie, 3 mila, 5 mila dollari. Oppure
le obbligano a prostituirsi. È una morte lenta: alcune impazziscono, altre
soccombono all’Aids. Ai prosseneti basta un’occhiata per sapere quanto tempo
una donna potrà durare. Prima le fanno girare dei film porno, poi la vendono a
un bordello. A volte sono gli stessi poliziotti ad abusare delle migranti: le
portano via in macchina e dopo le abbandonano in slip lungo la strada”. Ci sono statistiche sul numero
delle donne sequestrate e uccise? “Secondo la
Natinal Comission for Human Rights messicana, nel 2010 sono scomparsi 11 mila
migranti, nella stragrande maggioranza donne. Fra il 2007 e il 2014 le vittime
sono state 164.365. in quello stesso periodo in Iraq i morti sono stati 81.636
e in Afghanistan 21.415. le violenze contro le migranti restano quasi sempre
impunite: il loro viaggio si svolge in completa illegalità, non hanno
documenti, l’anonimato le trasforma in prede ideali. Nessuno si preoccupa per
loro. Sono nate in paesi in cui i delitti a sfondo sessuale non compaiono
neanche nelle brevi di cronaca. Un rapporto di Amnesty International afferma
che in Salvador, in Honduras o in Nicaragua 8 donne su 10 sono vittime di
violenza carnale. Loro lo sanno ma non possono farci niente: la loro unica
possibilità di difesa è usare un contraccettivo”. Quanto costa un viaggio fino alla frontiera
tra il Messico e gli Usa?
“Moltissimo: anche 7 mila dollari, una cifra stratosferica in quei
paesi”.
Ma perché vogliono andare proprio
negli Stati Uniti?
“Perché
là guadagneranno molto di più, come badanti o donne di servizio. Potranno
rifarsi una vita e soprattutto mettere da parte dei soldi da spedire a casa,
per far studiare i figli che sono rimasti". Ci parli dei 52 rifugi sparsi lungo tutto il tragitto messicano che
sono gestiti dalla Chiesa cattolica. “Rappresentano in moltissimi casi
l’unica salvezza. Le migranti hanno l’elenco in tasca, sanno che in alcuni
centri troveranno anche l’assistenza medica e che negli altri, i più poveri,
potranno comunque trascorrere una notte al sicuro. Il rifugio più famoso è
quello di padre Alejandro Solalilde, un sacerdote messicano che vive a Ixtepec,
nello stato di Oaxaca. Una sera gli sono arrivate tutte insieme 400 persone. Lui
non si è perso d’animo: ha preparato una zuppa per tutti e ha steso dei cartoni
all’aperto, sul campo, dove i migranti hanno dormito. Padre Solalilde è un
eroe: ha ricevuto minacce, intimidazioni, maltrattamenti, ma è sempre andato
avanti senza preoccuparsene”.
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