domenica 5 giugno 2016

BATTAGLIA LEGALE TRA CANADA E GUATEMALA

Un gruppo di donne indigene di un villaggio guatemalteco ha fatto causa a un’azienda mineraria canadese. Il loro caso potrebbe diventare un precedente importante
Margarita Caal Caal era sola. Suo marito stava lavorando nei campi quando arrivaro­no dei camion con a bordo soldati, poliziotti e guardie di sicurezza. Sei uomini armati entrarono in casa, le im­pedirono di uscire e mangiarono quello che aveva preparato per i bambini. C’è vo­luto molto tempo prima che raccontasse i fatti di quel pomeriggio del 2007. Per anni nessuna delle donne che vivono a Lote Ocho, un villaggio nell’est del Guatemala, ha parlato. Non ne hanno discusso nean­che tra loro. I poliziotti e i soldati violenta­rono Margarita Caal Caal a turno, uno do­po l’altro. Poi la cacciarono di casa e appic­carono il fuoco. Dissero che il terreno ap­parteneva a un’azienda mineraria canade­se. Fecero la stessa cosa con altre nove donne. “Ho ancora paura”, dice Caal Caal guardandosi le mani mentre la figlia serve il caffè, “ho paura tutto il tempo”. Quando ha deciso di portare il suo caso in tribunale non si è rivolta alla giustizia del Guatema­la, dove gli indigeni maya come lei, spesso analfabeti e residenti in zone isolate, non hanno mai avuto molta fortuna. Caal Caal ha sporto denuncia contro la HudBay Mi-nerals Ine in Canada e il caso ha scosso l’industria mineraria, petrolifera e del gas. Secondo i dati del governo canadese, nel 2013 più del 50 per cento delle industrie di esplorazione e sfruttamento minerario del mondo aveva sede in Canada. Queste 1.500 aziende avevano interessiin almeno ottomila proprietà, in più di cento paesi.
Per decenni le aziende affiliate all’este­ro hanno fatto da scudo alle compagnie estrattive canadesi, anche se i difensori dei diritti umani sostengono che siano respon­sabili di danni ambientali, repressione dei manifestanti e sgombero forzato di popoli indigeni. Ma la causa intentata da Caal Ca­al e da altre nove donne del villaggio ha già superato diversi ostacoli legali. Nel giugno del 2015 una sentenza ha ordinato alla HudBay di fornire agli avvocati delle don­ne una serie di documenti contenenti in­formazioni interne dell’azienda. La Hud­Bay, che non era proprietaria della miniera quando sono avvenuti gli sgomberi, nega ogni responsabilità.                                                                                                                  Danni ambientali                                                                                                                  La legge canadese non prevede risarci­menti anche quando la giustizia dà ragione a chi ha sporto denuncia. Ma il caso della HudBay è particolare, perché potrebbe in­dicare la strada per stabilire in futuro la soglia oltre la quale il comportamento del­le aziende straniere in Guatemala e in altri paesi è inaccettabile. Secondo Sara Seck, esperta di responsabilità sociale d’impresa della Western university di London in On­tario, “finora non ci sono state decisioni giudiziarie che aiutino a chiarire questi comportamenti. Per la prima volta la giu­stizia indagherà su quello che è successo davvero nel villaggio di Lote Ocho, ed è un fatto molto importante”. Le attività delle multinazionali che operano nei paesi poveri sono sottoposte a un esame sempre più rigoroso. Secondo esperti e analisti, le richieste della società sono cambiate e oggi molti cittadini dei paesi ricchi chiedono alle aziende di essere più responsabili anche all’estero.
Da tempo il Canada sta cercando di creare un codice di buona condotta per l’industria estrattiva, ma finora senza suc­cesso. Nel 2010 la legge per istituire una figura equivalente al difensore civico che si occupasse di casi come quello di Caal Caal non è stata approvata a causa della forte opposizione delle imprese del settore. John McKay, il deputato del Partito liberale che aveva presentato il disegno di legge, spera che il nuovo governo di Justin Trudeau proverà di nuovo a far passare la norma: “Alcune aziende all’estero si permettono comportamenti che non avrebbero mai nel proprio paese”, afferma.                 McKay non è l’unico a pensarla così. In un rapporto del 2014 il Council on hemis-pheric affairs, un’organizzazione non pro-fit con sede a Washington, ha stabilito che le aziende canadesi – che controllano tra il 50 e il 70 per cento dell’attività mineraria in America Latina – hanno causato molti danni ambientali, dall’erosione alla conta­minazione dei fiumi. In particolare il rap­porto afferma che l’industria estrattiva ha mostrato indifferenza verso le riserve na­turali e le zone protette. Allo stesso tempo denuncia che chi ha protestato è stato arre­stato, ferito e in alcuni casi perfino ucciso.                                                                       In passato le vittime hanno avuto poco successo con la giustizia canadese. I loro avvocati hanno cercato di far leva sulle vio­lazioni dei diritti umani e su reati penali internazionali. Ma quasi sempre i giudici hanno stabilito che il Canada non aveva giurisdizione su quei casi e le denunce do­vevano essere presentate nel paese dov’era stato commesso il reato, anche se c’erano problemi di corruzione o malfunzionamento della giustizia.                               Murray Klippenstein e Cory Wanless, gli avvocati delle guatemalteche che han­no sporto denuncia contro la HudBay, han­no usato un metodo diverso. Hanno soste­nuto che la casa madre canadese è colpe­vole di negligenza, perché non ha applicato un sistema di controllo per essere al cor­rente di quello che stava facendo la sua af­filiata guatemalteca. In questo modo sono riusciti a creare un legame tra la negligen­za e il Canada.
Caal Caal e le altre nove donne che so­stengono di essere state stuprate a Lote Ocho hanno presentato denuncia contro la HudBay, che ha sede a Toronto. L’azienda è stata denunciata anche per la morte nel settembre del 2009 di un leader locale, Adolfo Ich Chamàn, e per l’attacco contro German Chub, 28 anni, durante una mani­festazione a El Estor nel 2009. Chub era lì per caso e non aveva niente a che fare con i manifestanti. È rimasto paralizzato. Gli avvocati dell’azienda hanno cercato di far archiviare il caso per motivi di giuri­sdizione, ma nel 2013 il giudice canadese ha respinto la richiesta.                     Per Caal Caal e le altre donne di Lote Ocho decidere di portare la loro storia in tribunale non è stato facile. Molte parlano solo qeqchi, una lingua locale, hanno fre­quentato poco la scuola e sono spaventate dall’idea di viaggiare fino in Canada. Inol­tre devono affrontare l’ostilità di una parte della popolazione, in particolare a El Estor, dove c’è unafabbrica enorme per la lavora­zione del nichel.L’azienda ha respinto la maggior parte delle accuse. Sostiene che nessun dipen­dente si trovava a Lote Ocho durante gli sgomberi e che non sono stati commessi stupri. Sul suo sito la HudBay spiega che all’epoca non aveva nessun legame con la miniera Fenix, che era di proprietà della Compania guatemalteca de niquel (Cgn), a sua volta appartenente alla Skye Re­sources Inc. La HudBay comprò la Skye Resources nel 2008, facendosi carico dei suoi debiti. In seguito l’ha venduta e oggi non è più sua. Secondo l’azienda canadese nel 2009, quando laminiera era di sua pro­prietà, non ci furono episodi di negligenza. Gli omicidi del maestro Adolfo Ich Chamàn e di German Chub, un contadino, avvennero per legittima difesa mentre le guardie dell’azienda si proteggevano da manifestanti armati.                                                                              Ricordare è come rivivere                                                                                                  Ma alcuni episodi recenti sembrano dar ragione a chi ha sporto denuncia. Mynor Padilla, un colonnello in pensione che era responsabile della sicurezza della miniera durante gli sgomberi del 2007 e gli scontri a fuoco del 2009, è sotto processo in Gua­temala per quei fatti. A marzo di quest’an­no due ufficiali dell’esercito sono stati con­dannati per aver stuprato e mantenuto in stato di schiavitù delle donne indigene du­rante la guerra civile negli anni ottanta. Molti sostengono che violenze del genere avvengono ancora oggi. Durante la lunga guerra civile, che si concluse con i trattati di pace del 1996, la popolazione rurale e contadina fu attaccata più di una volta. Molti indigeni qeqchi sono ancora convin­ti che i terreni appartengano a loro e non alle aziende.                                                                       Nel 2007, all’epoca degli sgomberi, non c’erano industrie minerarie nella zona, ma le aziende cacciarono comunque tutte le comunità. A Lote Ocho, arroccata sulle montagne, ci sono poco più di una decina di edifici di legno dove vivono un centinaio di persone, soprattutto bambini. Non ci sono scuole né elettricità. Per raggiungere il paesino vicino ci vogliono 45 minuti in auto su una strada sterrata. Arrivarci con un mezzo di trasporto costa troppo per gli abitanti, che di solito vanno a piedi e c’im­piegano due ore.                         Margarita Caal Caal racconta che gli uomini che l’attaccarono furono molto vio­lenti. Lei rimase a terra per ore. Quando suo marito tornò a casa e le chiese cosa le fosse successo, gli disse che era caduta, perché aveva paura della sua reazione. Per lei è ancora difficile parlare di quello che è successo quel giorno.                                                                   “Ricordare è come rivivere, ed è dolo­roso”, afferma.

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