mercoledì 14 dicembre 2016

"Elogio del pesce". L'ultimo libro di Marisa Mosca

Qualche immagine dalla presentazione del quinto volume "Elogio del pesce" curato da Marisa Mosca. Un libro il cui acquisto ad offerta va a finanziare il progetto "Comedor Infantil-Casa 4 luglio" in Guatemala.



In America per aiutare i poveri


L’armadio dei pigiami – AINS racconta un progetto dedicato a persone fragili ricoverate in ospedale

Premessa Per tutto il 2016 abbiamo lavorato al  progetto “l’Armadio dei pigiami”, un progetto pensato per soddisfare una serie di  bisogni delle persone fragili ricoverate in ospedale, con l’obiettivo di valorizzare e far crescere il volontariato e la professione infermieristica. Un progetto nato nel 2016, pensato e realizzato da infermieri in un contesto di rete, per la cittadinanza con la cittadinanza dove, attraverso una serie di iniziative, l’infermiere e i volontari hanno collaborato per diventare agenti di sviluppo della Cittadinanza attiva, educando le persone e i colleghi alla conoscenza, per agire, della fragilità e all’importanza del dono, della solidarietà e del mettere a disposizione il proprio sapere.
Un progetto necessario e di contaminazione dei saperi e dell’agire, dove il bisogno degli infermieri e dei volontari è quello di impegnarsi a lavorare per non avere più bisogni.
Il perché di un progetto
Analisi del Problema per capire da dove siamo partiti
Sempre più spesso, all’interno dei reparti ospedalieri vengono ricoverate persone di tutte le età con situazioni economicamente e socialmente difficili. Tante persone fragili senza parenti, senza lavoro, senza una rete amicale di supporto, con figli assenti e coniugi anche loro anziani.
Noi Infermieri dell’Associazione Ains onlus ci confrontiamo quotidianamente con situazioni di questo tipo: persone fragili che tendono a non manifestare il loro disagio durante il ricovero ma che hanno grosse problematiche non avendo nemmeno a disposizione cambi di biancheria, spazzolino da denti, dentifricio, asciugamani utili per la degenza.
Situazioni di disagio causate da povertà, alcolismo, dipendenze varie, solitudine, difficoltà economiche, migrazioni. Situazioni che, come professionisti Infermieri, ci hanno fatto riflettere su che cosa è possibile fare oltre alla cura e all’assistenza ospedaliera di prassi per ridare dignità a queste persone. Anche perché i bisogni sanitari e socio sanitari che emergono oggi nella società, in virtù dei cambiamenti demografici, determinano un aumento esponenziale delle cosiddette persone “fragili” a cui occorre dare delle risposte anche dal punto di vista sociale e non solo infermieristico assistenziale classico.
Risposte che possono essere date lavorando in rete tra professionisti (Infermieri, medici, Dietisti, Assistenti Sociali, Volontari, Educatrici) e con l’associazionismo sanitario.
Cosa abbiamo fatto
Breve premessa sui beneficiari del progetto
Durante la prima fase del progetto realizzata nell’anno 2016, i beneficiari diretti del progetto sono stati:
  • Le persone fragili ricoverate in malattie Infettive al Policlinico San Matteo che hanno avuto la possibilità di beneficiare di un kit contenente spazzolino, dentifricio, saponetta e un ricambio di biancheria.saponetta e un ricambio di biancheria.
  • I soci dell’APS Borgo Ticino, cittadini del quartiere Borgo Ticino, che hanno partecipato ai 4 incontri informativi sulle fragilità dove si è dialogato, confrontato con Infermieri, Medici ed esperti volontari dell’associazionismo locale (Caritas e ambulatorio Caritas, responsabili e volontari delle mense popolari di Pavia, responsabili ed operatori di associazioni che quotidianamente lavorano con i disagi, assistenti sociali, medici, infermieri e ostetriche, Centro servizi del volontariato e consulta del volontariato).
  • Gli infermieri partecipanti al percorso “Educare alla Fragilità”  organizzato in una logica di rete tra la nostra associazione AINS onlus, il Collegio IPASVI della provincia di Pavia e il CSV (Centro Servizi del Volontariato) della provincia di Pavia.
Per dare una risposta, all’inizio di quest’anno abbiamo iniziato un micro progetto armadio dei pigiami – report denominato “L’armadio dei Pigiami” (copiato dopo averne chiesto il permesso, dall’esperienza di un’associazione di volontariato ospedaliero di Mondovì che ha creato e diffuso un kit contenente spazzolino, dentifricio, saponetta e un ricambio di biancheria da donare a chi viene ricoverato e non ha i mezzi) ponendoci tre obiettivi:
  1. Raccogliere materiale (biancheria intima, vestiti, spazzolini da denti, sapone e dentifricio) per confezionare un kit di prima emergenza da distribuire al momento del ricovero in Malattie Infettive e non solo
  2. Sensibilizzare i volontari delle associazioni sanitarie di Pavia
  3. Sensibilizzare i professionisti sanitari a conoscere i bisogni di salute delle persone con maggior disagio bio psicosociale, acquisire e/o affinare le competenze di processo in materia di aspetti relazionali (la comunicazione interna, esterna, con paziente) e umanizzazione delle cure per accogliere il paziente straniero e la sua famiglia, affermare la cultura dell’inclusione e garantire il rispetto dei principi di uguaglianza e universalità delle cure.
Per realizzare il primo obiettivo abbiamo stretto una collaborazione con  l’APS Borgo Ticino, un’associazione di promozione sociale operante in un comitato di quartiere (Borgo Ticino) a Pavia dove vivono parecchie migliaia di persone di tutte le età ed etnie occupandosi di fare aggregazione sociale in una sede messa a disposizione dal Comune di Pavia, per i 250 soci ma non solo in quanto luogo aperto alla cittadinanza avendo spazi per incontri e un parco all’esterno dove socializzare.
Con loro ci siamo incontrati, raccontati, confrontati e, evidenziata la necessità di lavorare inizialmente per  “Educare alla Fragilità” con i soci, promuovendo la cultura del dono, della solidarietà e della cittadinanza attiva. Contemporaneamente è partita presso la sede dell’APS Borgo Ticino la raccolta di indumenti, sapone, dentifricio e spazzolini da denti per riempire i kit distribuiti in ospedale.
Per realizzare il secondo e il terzo  obiettivo abbiamo stretto una collaborazione con il Centro Servizi del Volontariato e il Collegio IPASVI della provincia di Pavia perché un microprogetto come questo può raggiungere i suoi obiettivi se non si limita alla raccolta di materiale lavorando solo sul rafforzamento e/o creazione di una cultura della solidarietà, del dono e dello spreco ma deve sensibilizzare e creare una cultura nelle e delle persone.
AINS ha provveduto a elaborare un questionario distribuito ai soci dell’APS Borgo Ticino, questionario che ha visto la restituzione di 51 copie dove si evidenziano problematiche legate al quotidiano delle persone anziane che lo hanno compilato.
Con l’IPASVI  della provincia di Pavia si è creato un gruppo di lavoro, composto da Infermieri, che ha strutturato un percorso formativo progettato per educare il personale infermieristico a conoscere i bisogni di salute delle persone con maggior disagio biopsicosociale, acquisire e/o affinare le competenze di processo in materia di aspetti relazionali (la comunicazione interna, esterna, con paziente) e umanizzazione delle cure per accogliere il paziente straniero e la sua famiglia, affermare la cultura dell’inclusione e garantire il rispetto dei principi di uguaglianza e universalità delle cure.
Nel 2016 abbiamo voluto, pensato e realizzato un percorso che prendesse in considerazione 4 aree tematiche, mettendo in risalto sia le componenti conoscitive del disagio e la sua genesi, sia le peculiarità distintive di tipo educativo e assistenziale, utili all’operatività delle figure sanitarie che operano a stretto contatto con tali forme di disagio.
Le quattro aree tematiche sviluppate attraverso 4 momenti formativi accreditati ECM sono state:
– Il fenomeno della Multiculturalità in Sanità: accoglienza, criticità e risvolti sul processo assistenziale
– Le fragilità nella privazione della libertà: un nuovo approccio assistenziale
– Abusi, maltrattamenti e violenza di genere: riflessioni e orientamenti educativi, nell’operatività delle figure Sanitarie
– Il disagio psichico: ambiti, nuovi approcci, competenze.
Al Centro Servizi volontariato, che dà servizi alle associazioni di volontariato, abbiamo chiesto di aiutarci nella promozione del progetto e nel coinvolgimento delle realtà del Terzo Settore che si occupano dei temi trattati nei 4 incontri.
I numeri del progetto
Parecchio materiale per creare i kit è stato recuperato a seguito di donazioni al punto che abbiamo deciso in corso d’opera del progetto, vista l’eccedenza del materiale raccolto, di donarlo ad una parrocchia di Pavia che ospita rifugiati provenienti dall’Africa.
Durante gli incontri organizzati con la cittadinanza e gli Infermieri abbiamo avuto un buon risultato dal punto di vista partecipativo. I 4 incontri con la cittadinanza hanno visto la partecipazione di un centinaio di cittadini mentre i 4 incontri con gli infermieri hanno visto la partecipazione di 250 professionisti circa e 50 volontari di associazioni del terzo settore.
Cittadini e Infermieri con cui abbiamo mantenuto rapporti di comunicazione relativo al progetto.
Cosa vogliamo fare nel 2017
L’obiettivo generale è quello di continuare a promuovere la cultura della solidarietà, del dono e della partecipazione e cittadinanza attiva lavorando sui bisogni delle persone ricoverate nei due reparti di malattie Infettive del Policlinico San Matteo e sulla informazione/formazione rivolta ai 250 soci dell’APS Borgo Ticino, rafforzare la collaborazione con il Centro servizi del Volontariato e l’IPASVI della provincia di Pavia
Gli obiettivi specifici sono quelli di:
  • Continuare nella raccolta di materiale da distribuire alle persone fragili ricoverate nei reparti di malattie Infettive ma non solo
  • lavorare sui bisogni rilevati dalla mappatura fatta nel 2016 e rivolta ai 250 soci dell’APS Borgo Ticino
  • continuare il percorso formativo rivolto ai 250 soci dell’APS Borgo Ticino in collaborazione con professionisti della salute e professionisti del volontariato attivi all’interno delle loro associazioni.
  • continuare il percorso formativo “Educare alla Fragilità” intrapreso con il Collegio IPASVI della provincia di Pavia
  • Collaborare con un’associazione del Terzo Settore per poter garantire la presenza, due ore alla settimana, di un infermiera a disposizione dei soci dell’APS Borgo Ticino e di tutti quei cittadini che riterranno utile rivolgersi a lui. Questo perché fino a qualche anno fa era presente in Borgo Ticino la sede dell’ASL di Pavia. Sede che attualmente è stata chiusa. Questa scelta ha causato un disagio soprattutto per la popolazione anziana del Borgo Ticino che deve spostarsi con i mezzi pubblici o far riferimento ai parenti quando deve risolvere un bisogno sanitario e/o sociale lasciando la popolazione fragile in situazione di difficoltà.
Risultati attesi
Il risultato che ci prefiggiamo è di mantenere i contatti con le persone partecipanti ai momenti formativi/informativi e raggiungerne altre per poterle sensibilizzare ed educare sul tema fragilità.
Altro risultato che ci aspettiamo è quello di informare/formare persone che poi possano rimanere nel progetto collaborando e continuare a raccogliere materiale allargando la cerchia di collaborazioni a cui donare con la speranza di interrompere al più presto il progetto non avendo più persone da aiutare. Questo obiettivo è molto utopico ma con il progetto si lavora anche per fare in modo che del progetto non si abbia più bisogno.
Come anche, ci aspettiamo di ampliare sempre di più la rete di collaborazione tra AINS onlus, APS Borgo Ticino, CSV e Collegio IPASVI.

lunedì 3 ottobre 2016

GUATEMALA.Affinché non si ripeta mai più


(Lucia Capuzzi) Per diciannove interminabili udienze sono rimaste imprigionate nei coloratissimi scialli. Il volto, i capelli, le mani, tutto era coperto. La stoffa pesante occultava ogni centimetro di pelle e di umanità. Immobili fagotti maya. Si sono presentate al mondo con l’immagine che gli aguzzini le cucirono violentemente indosso, 34 anni fa. Ancora una volta. L’ultima volta. Perché, appena il giudice Jazmín Barrios ha terminato di leggere la sentenza, le braccia si sono levate verso l’alto, spontanee. Uno dopo l’altro, i manti si sono aperti, liberando il viso. Labbra e occhi sono saltati fuori.
E nell’aula è risuonato il grido: Mak´al li qa xiw (“non abbiamo più paura”). Allora, il 26 febbraio scorso, l’incubo è veramente finito per le undici eroine di Sepur Zarco — come le ha ribattezzate la stampa locale — ed è nata una nuova speranza per le migliaia e migliaia di guatemalteche stuprate, torturate, schiavizzate durante la guerra civile (1966-1996). Uno dei conflitti più feroci del Novecento, in cui anche i corpi delle donne furono trasformati in campi di battaglia. Nel silenzio generale. Tanto che, dopo la firma degli accordi di pace, c’è stata, a lungo, una difficoltà a considerare le violenze sessuali come parte della strategia di terrore sistematico inflitta dai gruppi armati — in particolare dall’esercito — alla popolazione.
Quel giorno del 2016, però, il Tribunale A di massima sicurezza ha messo fine a decenni di impunità, condannando a 120 e 240 anni di carcere Steelmer Reyes Girón e Heriberto Váldez Asij, colpevoli, in quanto responsabili della guarnigione di Sepur Zarco, dello stupro di massa di decine di indigene nonché della scomparsa dei loro mariti. Il verdetto è storico: per la prima volta, gli abusi sessuali commessi durante una guerra sono stati giudicati e condannati all’interno dello stesso Paese. In Jugoslavia e Rwanda — i due punti di riferimento in materia — si è dovuto ricorrere a corti internazionali. In Guatemala no.
Là, un gruppo di donne di etnia Q’eqchí ha costretto il sistema giudiziario nazionale a guardare in faccia la verità. «Non so né leggere né scrivere. Forse, se lo sapessi fare, parlerei con più scioltezza. Ma tutto ciò che ho detto è vero. Ero lì, ho visto e vissuto quei giorni. Dio mi è testimone» ha detto Petrona, 75 anni, al termine della deposizione. In aula, ha parlato in lingua q’eqchí, l’unica che conosce e l’unica in cui si sente autentica. Perché l’orrore richiede parole precise, spesso. Aveva quarantuno anni quando l’esercito arrivò nel villaggio di Panzós, nella valle del Polochic, il 25 agosto 1982. I militari interruppero la festa per il giorno di santa Rosa da Lima e cominciarono la “caccia”. Cercavano Mario, il marito di Petrona, “colpevole” di aver reclamato la proprietà del suo piccolo appezzamento. 
La versione ufficiale era ovviamente un’altra: Mario e altri 17 contadini delle comunità limitrofe avrebbero fornito cibo e protezione ai guerriglieri. Peccato che in quella zona non ci fossero formazioni ribelli. Difficile che le forze armate ignorassero un simile dettaglio. Più probabile, invece, che la tattica della “terra bruciata” fosse impiegata in modo “flessibile” per regolare i conti tra latifondisti e agricoltori. Mario, quella volta, si salvò fuggendo sui monti insieme alla famiglia. Poco dopo, però, fu scoperto e ucciso. O meglio, fatto scomparire. Quando Petrona si recò insieme ai quattro figli a chiedere il corpo al neonato distaccamento di Sepur Zarco, divenne lei stessa una “preda”. Anzi, una schiava. L’esercito obbligò le “vedove” — ma anche, a volte, le figlie e le sorelle — dei contadini assassinati a servirlo. In tutti i sensi. Le donne dovevano, a rotazione, lavare le uniformi, cucinare, rammendare, pulire l’interno della guarnigione. E, soprattutto, lasciarsi violentare senza fiatare dalle truppe. In caso contrario, avrebbero fatto la fine di Dominga Coc e delle figlie, Anita e Hermenilda, picchiate e seviziate per settimane prima di “sparire”. Per sei mesi — fino al 10 ottobre 1983 quando Steelmer Reyes Girón fu sostituito da un nuovo comandante — le indigene del Polochic furono costrette a “garantire il servizio”, secondo l’espressione impiegata all’epoca, dandosi il cambio ogni tre giorni.
«Andavi via sapendo che al ritorno ti avrebbe aspettato lo stesso trattamento. O uno peggiore. Mi hanno stuprato molte volte. E l’hanno fatto anche a mia figlia» racconta Petrona. «Spesso lo facevano in tanti... Quando avevo delle emorragie, dovevo curarmi con le erbe. Spesso ci facevano delle iniezioni perché non avessimo bambini» le fa eco Rosa, un’altra delle undici eroine. «Nel distaccamento, però, sono passate molte più donne» sottolinea Petrona. Di sicuro, le “schiave” furono diverse decine, almeno una sessantina.
La maggior parte, però, ha scelto il silenzio. Nel timore, in primis, di una rappresaglia dell’esercito, che rimase a Sepur Zarco nei successivi sei anni e continuò a pretendere “servizi”, sebbene con meno regolarità. La paura più grande, però, era il giudizio degli altri. Come spiegare loro che erano vittime se le stesse comunità le consideravano prostitute o, peggio, traditrici? I rapporti Guatemala Nunca Más — coordinato dal vescovo Juan Gerardi, assassinato a causa del suo impegno per i diritti umani — e Memoria del Silencio, della commissione Onu, aprirono la strada affinché le verità sepolte potessero riaffiorare. Per superare lo stigma dello stupro ci sono voluti, però, ancora molti anni di paziente lavoro delle attiviste dell’Unión nacional de mujeres de Guatemala, Mujeres transformando el mundo ed Ecap, riunite nell’Alianza rompiendo el silencio.
Nel 2011, quindici indigene hanno presentato la prima denuncia per il “caso Sepur Zarco”. Cinque anni dopo, è arrivato il tempo della giustizia. Non solo per le undici superstiti rimaste. La sentenza è destinata a fare storia nelle cause sugli stupri di guerra. Perché ciò che è accaduto a Sepur Zarco non si ripeta. Nunca Más.
L'Osservatore Romano, 1-2 ottobre 2016

 

sabato 1 ottobre 2016

Giornate Ginecologiche. Un piccolo progetto che continua

Continuano le giornate ginecologiche presso il "Comedor Infantil-Casa 4 luglio".
La cosa interessante, la novità, è che il progetto sta diventando occasione d'esperienza e di tirocinio solidale.
Sayda Rocio Colindres, che potete vedere nella foto vestita di bianco dietro ad una donna e alla dottoressa, è una studente in infermeria che volontariamente ha chiesto, svegliandosi alle 4:20 del mattino per partire da El Estor che dista più di tre ore dal Comedor, di dare una mano mettendosi a disposizione per continuare a rimanere solidale.
Grazie, Grazie e ancora grazie.


RAÚL MOLINA MEJÍA. Incontro a Torino

Ieri sera, 26 settembre, siamo stati a Torino ad ascoltare RAÚL MOLINA MEJÍA (guatemalteco, docente universitario e per qualche tempo Rettore presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università Statale “San Carlos” di Città del Guatemala.Nel 1980 fu costretto a lasciare il Paese a causa del confl itto armato interno. Rifugiato negli Stati Uniti, con Rigoberta Menchú ed altri esuli, fondò la RUOG (Representación Unitaria de la Oposición Guatemalteca) in difesa dei diritti umani violati costantem...ente dalle dittature militari del Paese.Docente di Storia e Scienze Politiche presso l’Università “Long Island” (New York), attualmente ricopre la cattedra di Storia dell’America Latina nell’Università “Alberto Hurtado” di Santiago (Cile).Fondatore della “Red por la Paz y el Desarrollo de Guatemala” (RPDG), un’organizzazione socio-politica che riunisce la diaspora guatemalteca nel mondo. Ci ha parlato delle migrazioni dall’America Latina verso gli Stati Uniti alla luce degli ultimi cambiamenti socio politici del Sud del Mondo.
Un'altra occasione per fare sempre meglio Cooperazione.





Terminata la 5^ Settimana della Cooperazione: Brevi considerazioni

Terminata domenica 25 settembre la 5^ Settimana della Cooperazione, ci siamo domandati cosa è andato bene e cosa occore migliorare.
Premesso che se la gente non partecipa, l'evento non va come deve andare, manca qualche cosa, ecc, ecc, ecc...basta dire che è colpa sempre di qualcun altro. Se c'è una colpa, la colpa è di chi organizza perchè non è stato abbastanza attento alla buona riuscita dell'evento.
Questa Settimana della Cooperazione è stata una settimana che ci ha visto impegnati a cercare di capire le cause del disagio, della fragilità, della povertà e del senso di fare Cooperazione, attraverso l’ascolto, l’ospitalità e il sapere di chi fa le nostre stesse cose (anche meglio), lontano da Pavia.
Ci siamo impegnati ad organizzare incontri dove non abbiamo voluto raccontare noi stessi ma dare spazio ad altri saperi perché solo così, secondo noi, si impara. Dopo di che, certo che ci sarebbe piaciuto avere più partecipazione di pubblico. Però va bene così perchè sappiamo che i temi trattati erano veramente impegnativi. Siamo contenti e felici dell'opportunità che gli organizzatori della Settimana ci hanno dato per farci conoscere e, permetteteci, siamo soddisfatti dei piccoli passi che abbiamo fatto per raggiungere l'obiettivo finale di scomparire come associazione perchè vorrà dire di aver contribuito a sconfiggere la povertà, l'ingiustizia e le fragilità.
Grazie a tutti e a presto con nuovi momenti di confronto.

Giulia, Elisa, Renza, Andrea, Ruggero
i volontari di Ains onlus
 

giovedì 21 luglio 2016

Qui ancora, dopo 18 anni, per continuare a rimanere solidali.

Diciamo che, giustamente, quando si parla di cooperazione, si tende sempre a progettare interventi per i bambini perché sono la parte più fragile del mondo. Dove andiamo noi, in una delle tante baraccopoli in Guatemala, c’è però una percentuale alta di persone anziane, grandi vecchi, che hanno lavorato da quando erano bambini e ora si ritrovano senza niente e nessuno perchè i figli se ne sono andati lontano a cercare lavoro e lo stato non riconosce loro una pensione.

Anziani... che vorrebbero avere la possibilità di trascorrere gli ultimi anni della loro vita in tranquillità ma devono arrangiarsi come possono. L’anno scorso abbiamo deciso di aiutare anche 25 anziani con interventi mirati e semplici, garantendo loro assistenza sanitaria gratuita presso il Comedor Infantil (ma anche a domicilio quando non si possono muovere), cibo perché gli anziani sono fragili anche e soprattutto da questo punto di vista e momenti di convivialità all’interno del Comedor Infantil. Come? Con due progetti: i pranzi conviviali, tutti insieme (anziani e bambini) una volta al mese (un appuntamento fisso che piace molto), e la “bolsa solidaria” che consiste nel dare, una volta al mese, ad ogni anziano, una borsa di alimenti. Il pranzo è gratuito mentre, per chi può permetterselo, la borsa viene ritirata con un contributo di 10 quetzales (poco più di un euro) per evitare l’assistenzialismo che non porta mai a nulla. Che alimenti contiene la borsa? Mas, fagioli, olio, avena, sale, Incaparina, zucchero e tutto ciò che serve loro cercando di inserire, ogni mese, un prodotto diverso.

 Perché mettiamo in rete questa notizia? Beh, per due motivi: abbiamo bisogno di far conoscere quello che facciamo in Guatemala in collaborazione con la gente della baraccopoli di Santa Gertrudis e con l’associazione locale Asociacio Moises Lira Serafin; sensibilizzare sull’importanza del continuare ad essere solidali; trovare persone che abbiano voglia di sostenere i nostri progetti e, nello specifico, un micro progetto come questo che richiede un impegno economico mensile di 8 euro per finanziare una borsa di alimenti.

Noi siamo qui ad aspettarvi. Qui ancora, dopo 18 anni, per continuare a rimanere solidali.

Maroooonna!!!

Questo direbbe la mia collega, toccandosi la testa e chiudendo gli occhi come fa sempre quando le racconto quello che vediamo e incontriamo in Guatemala, in alcune zone del Guatemala. Direbbe così, sono sicuro, sentendomi raccontare di chi vive nella discarica di Coban che è…non saprei come definirla…..uno dei tanti luoghi degli ultimi, mai vista una cosa del genere, dove è inumano e contro ogni logica vivere e permettere di vivere (ma lo stato e la società civi...le dove sono?). Qui c’è gente e tantissimi bambini che sopravvivono e ci lavorano smistando di tutto: plastica, carta, metallo, cibo, merda. 

 E poi tanti cani. Uomini, donne, bambini, cani e tanti uccellacci neri, quegli schifosissimi zopilote, che si nutrono di animali morti. Questo abbiamo visto quando siamo entrati nella discarica di Coban insieme a tanta disperazione e sofferenza in chi ci ha visto arrivare e scaricare dal pickup i contenitori del pasto di mezzogiorno (avevamo accompagnato un prete di Coban che gestisce una comunità, li vicino, con scuole di diverso grado e laboratori dove si impara un lavoro). Questo prete, si può essere o no d’accordo con lui (assistenzialismo?????), porta tutti i giorni nella discarica, cibo, acqua e tutto ciò che serve per sopravvivere perché la gente ha fame. Lui, insieme ai suoi collaboratori, è uno di quei tanti cittadini attivi che comunque si impegna e fa qualche cosa.
Ma avevamo anche accompagnato Caterina, psicologa e volontaria nella Escuelita Feliz che si trova all’interno della discarica. Una scuola che fa studiare, tutti i giorni, 10 vispi ragazzini di età differenti. Un’alternativa al degrado e alla povertà estrema nata da un’idea di Caterina che con passione e fatica lotta tutti giorni per garantire il diritto allo studio a questi 10 bimbi.
Questo progetto sospeso ha bisogno di tutti noi.
Contattateci se desiderate darci una mano per continuare a rimanere solidali.

VIVERE IN UNA BARACCOPOLI.. CON DIGNITA'!


Ecco alcune scene di vita quotidiana nella baraccopoli di S. Gertrudis, El Rancho, altro progetto che supportiamo dal... 2012 insieme ad RAINBOW GUATEMALA(http://www.rainbowprojects.it/…/idea/rainbow-guatemala.html…)
Questi sono tristi ritratti che si vedono spesso nei documentari in TV, ma quando si vivono in prima persona lasciano un segno indelebile nel cuore.. Nonostante la povertà e l'assenza pressochè totale di diritti umani e opportunità socio-economiche, ci imbattiamo sempre in persone che hanno trovato una certa serenità e bimbi che regalano sempre un sorriso.
Ciò rappresenta un esempio maestro di vita.. la dignità a prescindere dalle condizioni di vita..

(Grazie a Caterina vetro per l'importante aiuto)








sabato 2 luglio 2016

"Comedor Infantil-Casa 4 luglio": Cumpliendo 4 años de servicio a la niñez de Santa Gertrudis


Cooperazione? Pensare e Lavorare come un "noi"

Grazie a Etixx Corporation, labopharm, s.a. e al nostro buon amico Williams Carrera, le giornate di " peso-taglia"

dove i bambini vengono pesati e controllati in altezza per capire se la loro alimentazione è sana e bilanciata,  si sono realizzate nel migliore dei modi presso il Comedor Infantil nella comunità di Santa Gertrude, San Agustin AC., El progresso.

Grazie alla dottoressa Gabriela Toledo per la disponibilità ad esserci sempre e all'associazione Moises Lira per portare avanti il programma di salute preventiva.

JORNADAS MEDICAS.

Continua il progetto "JORNADAS MEDICAS" presso il Comedor Infantil.
Una volta alla settimana il dottore arriva nella struttura per offrire consulenze mediche gratuite alle bambine, ai bambini, agli anziani e a tutti coloro che hanno necessità di soddisfare un bisogno sanitario.
Come sempre, da quando è partito questo progetto, visite gratuite (solo chi può permetterselo paga una cifra simbolica di 2 euro) e distribuzione di farmaci solo quando serve.
Ma non solo: essendo Santa Gertrudis abitata da tanti anziani, due medici, grazie ad un accordo con l'Università San Carlos di Città del Guatemala, una volta alla settimana, mettono a disposizione il loro sapere presso il Comedor recandosi a domicili per assistere chi non può uscire da casa.

Schiave & invisibili: in fuga dall’inferno

Un fiume di donne. Scappano dal Sudamerica per raggiungere gli Usa ed evitare di essere torturate, stuprate, vendute ai mercanti del sesso. Un libro fa luce sulle storie atroci di queste migranti.

Giovanni Serafini                                                                                                                                      Settimanale Il piacere della Lettura, sabato 25 giugno 2016
 
Una terra senza riparo in cui le donne sono la preda designata, ombre umane cui nessuno s’interessa. Storie di violenze, di stupri, di torture, di corpi venduti, di speranze umiliate: è in questo mondo disumano che ci accompagna la giovane giornalista francese Camilla Panhard. Protagoniste del suo libro (“No women’s land”, edito da Les Arènes) sono le donne che ogni anno scappano a migliaia dall’Honduras, dal Guatemala, dal Salvador, dal Nicaragua.                                                      SONO le “altre migranti”, una realtà di cui da noi si parla poco, fiume umano in fuga verso gli Stati Uniti per sfuggire alla fame, alla prostituzione forzata, al dominio delle gang. Il loro viaggio dura settimane, a piedi, sul tetto di un treno, a bordo di autobus scassati. Un pellegrinaggio attraverso l’inferno durante il quale molte di loro scompaiono nel nulla: rapite da trafficanti che le vendono come schiave sessuali o le uccidono a colpi di machete per derubarle. Conoscono i rischi che corrono, sanno che il tragitto sarà un calvario, ma non hanno scelta. L’unico barlume di luce nel tunnel dell’orrore è l’aiuto della Chiesa cattolica: 52 rifugi in tutto il Messico gestiti da preti coraggiosi che non negano mail il soccorso, neanche al prezzo della vita.                                         Come mai non c’è traccia nelle nostre cronache di queste migranti del Centro America?           “Sono storie che avvengono lontano da noi, dall’altra parte del mondo. Io stessa le ho scoperte per caso, in occasione di un viaggio per turismo in Messico. Non sapevo niente di quel mondo di mafia, di corruzione , di omicidi, di compravendita di corpi umani. La lotta per la vita di queste eroine anonime mi ha affascinato e ho deciso di condurre un’inchiesta, durata 5 anni, per far conoscere a tutti le storie di Claudia, Mercedes, Ilka, Kristin, Griselda, Johanna, Sonia e tante altre”.   
                  
Cos’è che l’ha colpita maggiormente?                                                                                                              “I viaggi di quelle disgraziate sui tetti dei vagoni ferroviari. Lo spazio è minimo, la gente è tantissima. Se ti addormenti sei finito: è facile che ti buttino giù per guadagnare un po’ di spazio. Le donne sono più deboli, dunque più esposte. Il treno ha nomi diversi a seconda dei territori che attraversa: quello del Ciapas si chiama “la bestia”, quello che arriva a Veracruz è “il verme d’acciaio”, quello che percorre i deserti del Nord è “il cavallo di ferro”. Le soste sono pericolosissime. Le stazioni sono piene di banditi. Non puoi fidarti di nessuno”.                                                                                            Perché rapiscono le donne?                                                                                                                               “I trafficanti chiedono un riscatto alle famiglie, 3 mila, 5 mila dollari. Oppure le obbligano a prostituirsi. È una morte lenta: alcune impazziscono, altre soccombono all’Aids. Ai prosseneti basta un’occhiata per sapere quanto tempo una donna potrà durare. Prima le fanno girare dei film porno, poi la vendono a un bordello. A volte sono gli stessi poliziotti ad abusare delle migranti: le portano via in macchina e dopo le abbandonano in slip lungo la strada”.                                                                Ci sono statistiche sul numero delle donne sequestrate e uccise?                                                “Secondo la Natinal Comission for Human Rights messicana, nel 2010 sono scomparsi 11 mila migranti, nella stragrande maggioranza donne. Fra il 2007 e il 2014 le vittime sono state 164.365. in quello stesso periodo in Iraq i morti sono stati 81.636 e in Afghanistan 21.415. le violenze contro le migranti restano quasi sempre impunite: il loro viaggio si svolge in completa illegalità, non hanno documenti, l’anonimato le trasforma in prede ideali. Nessuno si preoccupa per loro. Sono nate in paesi in cui i delitti a sfondo sessuale non compaiono neanche nelle brevi di cronaca. Un rapporto di Amnesty International afferma che in Salvador, in Honduras o in Nicaragua 8 donne su 10 sono vittime di violenza carnale. Loro lo sanno ma non possono farci niente: la loro unica possibilità di difesa è usare un contraccettivo”.                                                                                                           Quanto costa un viaggio fino alla frontiera tra il Messico e gli Usa?                                                        “Moltissimo: anche 7 mila dollari, una cifra stratosferica in quei paesi”.
 
 
Ma perché vogliono andare proprio negli Stati Uniti?                                                                        “Perché là guadagneranno molto di più, come badanti o donne di servizio. Potranno rifarsi una vita e soprattutto mettere da parte dei soldi da spedire a casa, per far studiare i figli che sono rimasti". Ci parli dei 52 rifugi sparsi lungo tutto il tragitto messicano che sono gestiti dalla Chiesa cattolica. “Rappresentano in moltissimi casi l’unica salvezza. Le migranti hanno l’elenco in tasca, sanno che in alcuni centri troveranno anche l’assistenza medica e che negli altri, i più poveri, potranno comunque trascorrere una notte al sicuro. Il rifugio più famoso è quello di padre Alejandro Solalilde, un sacerdote messicano che vive a Ixtepec, nello stato di Oaxaca. Una sera gli sono arrivate tutte insieme 400 persone. Lui non si è perso d’animo: ha preparato una zuppa per tutti e ha steso dei cartoni all’aperto, sul campo, dove i migranti hanno dormito. Padre Solalilde è un eroe: ha ricevuto minacce, intimidazioni, maltrattamenti, ma è sempre andato avanti senza preoccuparsene”.

 

domenica 5 giugno 2016

BATTAGLIA LEGALE TRA CANADA E GUATEMALA

Un gruppo di donne indigene di un villaggio guatemalteco ha fatto causa a un’azienda mineraria canadese. Il loro caso potrebbe diventare un precedente importante
Margarita Caal Caal era sola. Suo marito stava lavorando nei campi quando arrivaro­no dei camion con a bordo soldati, poliziotti e guardie di sicurezza. Sei uomini armati entrarono in casa, le im­pedirono di uscire e mangiarono quello che aveva preparato per i bambini. C’è vo­luto molto tempo prima che raccontasse i fatti di quel pomeriggio del 2007. Per anni nessuna delle donne che vivono a Lote Ocho, un villaggio nell’est del Guatemala, ha parlato. Non ne hanno discusso nean­che tra loro. I poliziotti e i soldati violenta­rono Margarita Caal Caal a turno, uno do­po l’altro. Poi la cacciarono di casa e appic­carono il fuoco. Dissero che il terreno ap­parteneva a un’azienda mineraria canade­se. Fecero la stessa cosa con altre nove donne. “Ho ancora paura”, dice Caal Caal guardandosi le mani mentre la figlia serve il caffè, “ho paura tutto il tempo”. Quando ha deciso di portare il suo caso in tribunale non si è rivolta alla giustizia del Guatema­la, dove gli indigeni maya come lei, spesso analfabeti e residenti in zone isolate, non hanno mai avuto molta fortuna. Caal Caal ha sporto denuncia contro la HudBay Mi-nerals Ine in Canada e il caso ha scosso l’industria mineraria, petrolifera e del gas. Secondo i dati del governo canadese, nel 2013 più del 50 per cento delle industrie di esplorazione e sfruttamento minerario del mondo aveva sede in Canada. Queste 1.500 aziende avevano interessiin almeno ottomila proprietà, in più di cento paesi.
Per decenni le aziende affiliate all’este­ro hanno fatto da scudo alle compagnie estrattive canadesi, anche se i difensori dei diritti umani sostengono che siano respon­sabili di danni ambientali, repressione dei manifestanti e sgombero forzato di popoli indigeni. Ma la causa intentata da Caal Ca­al e da altre nove donne del villaggio ha già superato diversi ostacoli legali. Nel giugno del 2015 una sentenza ha ordinato alla HudBay di fornire agli avvocati delle don­ne una serie di documenti contenenti in­formazioni interne dell’azienda. La Hud­Bay, che non era proprietaria della miniera quando sono avvenuti gli sgomberi, nega ogni responsabilità.                                                                                                                  Danni ambientali                                                                                                                  La legge canadese non prevede risarci­menti anche quando la giustizia dà ragione a chi ha sporto denuncia. Ma il caso della HudBay è particolare, perché potrebbe in­dicare la strada per stabilire in futuro la soglia oltre la quale il comportamento del­le aziende straniere in Guatemala e in altri paesi è inaccettabile. Secondo Sara Seck, esperta di responsabilità sociale d’impresa della Western university di London in On­tario, “finora non ci sono state decisioni giudiziarie che aiutino a chiarire questi comportamenti. Per la prima volta la giu­stizia indagherà su quello che è successo davvero nel villaggio di Lote Ocho, ed è un fatto molto importante”. Le attività delle multinazionali che operano nei paesi poveri sono sottoposte a un esame sempre più rigoroso. Secondo esperti e analisti, le richieste della società sono cambiate e oggi molti cittadini dei paesi ricchi chiedono alle aziende di essere più responsabili anche all’estero.
Da tempo il Canada sta cercando di creare un codice di buona condotta per l’industria estrattiva, ma finora senza suc­cesso. Nel 2010 la legge per istituire una figura equivalente al difensore civico che si occupasse di casi come quello di Caal Caal non è stata approvata a causa della forte opposizione delle imprese del settore. John McKay, il deputato del Partito liberale che aveva presentato il disegno di legge, spera che il nuovo governo di Justin Trudeau proverà di nuovo a far passare la norma: “Alcune aziende all’estero si permettono comportamenti che non avrebbero mai nel proprio paese”, afferma.                 McKay non è l’unico a pensarla così. In un rapporto del 2014 il Council on hemis-pheric affairs, un’organizzazione non pro-fit con sede a Washington, ha stabilito che le aziende canadesi – che controllano tra il 50 e il 70 per cento dell’attività mineraria in America Latina – hanno causato molti danni ambientali, dall’erosione alla conta­minazione dei fiumi. In particolare il rap­porto afferma che l’industria estrattiva ha mostrato indifferenza verso le riserve na­turali e le zone protette. Allo stesso tempo denuncia che chi ha protestato è stato arre­stato, ferito e in alcuni casi perfino ucciso.                                                                       In passato le vittime hanno avuto poco successo con la giustizia canadese. I loro avvocati hanno cercato di far leva sulle vio­lazioni dei diritti umani e su reati penali internazionali. Ma quasi sempre i giudici hanno stabilito che il Canada non aveva giurisdizione su quei casi e le denunce do­vevano essere presentate nel paese dov’era stato commesso il reato, anche se c’erano problemi di corruzione o malfunzionamento della giustizia.                               Murray Klippenstein e Cory Wanless, gli avvocati delle guatemalteche che han­no sporto denuncia contro la HudBay, han­no usato un metodo diverso. Hanno soste­nuto che la casa madre canadese è colpe­vole di negligenza, perché non ha applicato un sistema di controllo per essere al cor­rente di quello che stava facendo la sua af­filiata guatemalteca. In questo modo sono riusciti a creare un legame tra la negligen­za e il Canada.
Caal Caal e le altre nove donne che so­stengono di essere state stuprate a Lote Ocho hanno presentato denuncia contro la HudBay, che ha sede a Toronto. L’azienda è stata denunciata anche per la morte nel settembre del 2009 di un leader locale, Adolfo Ich Chamàn, e per l’attacco contro German Chub, 28 anni, durante una mani­festazione a El Estor nel 2009. Chub era lì per caso e non aveva niente a che fare con i manifestanti. È rimasto paralizzato. Gli avvocati dell’azienda hanno cercato di far archiviare il caso per motivi di giuri­sdizione, ma nel 2013 il giudice canadese ha respinto la richiesta.                     Per Caal Caal e le altre donne di Lote Ocho decidere di portare la loro storia in tribunale non è stato facile. Molte parlano solo qeqchi, una lingua locale, hanno fre­quentato poco la scuola e sono spaventate dall’idea di viaggiare fino in Canada. Inol­tre devono affrontare l’ostilità di una parte della popolazione, in particolare a El Estor, dove c’è unafabbrica enorme per la lavora­zione del nichel.L’azienda ha respinto la maggior parte delle accuse. Sostiene che nessun dipen­dente si trovava a Lote Ocho durante gli sgomberi e che non sono stati commessi stupri. Sul suo sito la HudBay spiega che all’epoca non aveva nessun legame con la miniera Fenix, che era di proprietà della Compania guatemalteca de niquel (Cgn), a sua volta appartenente alla Skye Re­sources Inc. La HudBay comprò la Skye Resources nel 2008, facendosi carico dei suoi debiti. In seguito l’ha venduta e oggi non è più sua. Secondo l’azienda canadese nel 2009, quando laminiera era di sua pro­prietà, non ci furono episodi di negligenza. Gli omicidi del maestro Adolfo Ich Chamàn e di German Chub, un contadino, avvennero per legittima difesa mentre le guardie dell’azienda si proteggevano da manifestanti armati.                                                                              Ricordare è come rivivere                                                                                                  Ma alcuni episodi recenti sembrano dar ragione a chi ha sporto denuncia. Mynor Padilla, un colonnello in pensione che era responsabile della sicurezza della miniera durante gli sgomberi del 2007 e gli scontri a fuoco del 2009, è sotto processo in Gua­temala per quei fatti. A marzo di quest’an­no due ufficiali dell’esercito sono stati con­dannati per aver stuprato e mantenuto in stato di schiavitù delle donne indigene du­rante la guerra civile negli anni ottanta. Molti sostengono che violenze del genere avvengono ancora oggi. Durante la lunga guerra civile, che si concluse con i trattati di pace del 1996, la popolazione rurale e contadina fu attaccata più di una volta. Molti indigeni qeqchi sono ancora convin­ti che i terreni appartengano a loro e non alle aziende.                                                                       Nel 2007, all’epoca degli sgomberi, non c’erano industrie minerarie nella zona, ma le aziende cacciarono comunque tutte le comunità. A Lote Ocho, arroccata sulle montagne, ci sono poco più di una decina di edifici di legno dove vivono un centinaio di persone, soprattutto bambini. Non ci sono scuole né elettricità. Per raggiungere il paesino vicino ci vogliono 45 minuti in auto su una strada sterrata. Arrivarci con un mezzo di trasporto costa troppo per gli abitanti, che di solito vanno a piedi e c’im­piegano due ore.                         Margarita Caal Caal racconta che gli uomini che l’attaccarono furono molto vio­lenti. Lei rimase a terra per ore. Quando suo marito tornò a casa e le chiese cosa le fosse successo, gli disse che era caduta, perché aveva paura della sua reazione. Per lei è ancora difficile parlare di quello che è successo quel giorno.                                                                   “Ricordare è come rivivere, ed è dolo­roso”, afferma.

Gli angeli di Rainbow Guatemala 2016

Basta guardare i loro sorrisi innocenti, sinceri e speranzosi, per prendere coscienza di quanto il progetto "Rainbow Guatemala" sia essenziale e vitale per cambiare la vita di queste creature.. ci stiamo riuscendo, piano piano, negli anni, grazie al vostro aiuto. Ad Escuelita Feliz, la piccola scuola della discarica di Cobàn, e al al Comedor Infantil di S.Gertrudis, El Rancho.d





Anche in discarica nascono i fiori - Rainbow Guatemala Project

Trailer del video documentario "Anche in discarica nascono i fiori - Piccole storie di grandi cambiamenti", una toccante testimonianza di come il progetto "Rainbow Guatemala" opera nella discarica di Coban migliorando le vite dei bambini lavoratori della discarica. un progetto di Pino Scotto e Caterina Vetro.


Con Rigoberta Menchù Tum

Ieri sera abbiamo cenato con Rigoberta Menchù Tum e di questo dobbiamo ringraziare Dante Liano e sua moglie per averci permesso di esserci. Che dire? Nulla!!!! L'abbiamo ascoltata in silenzio e basta. Per noi, piccola onlus da 18 anni solidale in Guatemala, è un onore e un piacere aver condiviso una pizza con chi, attraverso i suoi racconti, le sue testimonianze, le parole dette nelle tante interviste e nei libri, ci ha aiutato a crescere per poter dare il nostro contributo di solidarietà come infermieri e come persone che da sempre vogliono continuare a rimanere solidali. Grazie Dante, Grazie Marjorie e grazie agli amici di Torino (grazie mitici Padovani) che ci hanno accompagnati in questa sogno che ci ha colorato la serata.

Progetto "Mais y Frijoles"

Continua presso il "Comedor Infantil-Casa 4 luglio" il progetto "Mais y Frijoles" finanziato da tanti amici dell'associazione. Eco alcune fotografie inviate direttamente dal Comedor per farvi capire a che punto siamo del progetto.