giovedì 21 luglio 2016

Qui ancora, dopo 18 anni, per continuare a rimanere solidali.

Diciamo che, giustamente, quando si parla di cooperazione, si tende sempre a progettare interventi per i bambini perché sono la parte più fragile del mondo. Dove andiamo noi, in una delle tante baraccopoli in Guatemala, c’è però una percentuale alta di persone anziane, grandi vecchi, che hanno lavorato da quando erano bambini e ora si ritrovano senza niente e nessuno perchè i figli se ne sono andati lontano a cercare lavoro e lo stato non riconosce loro una pensione.

Anziani... che vorrebbero avere la possibilità di trascorrere gli ultimi anni della loro vita in tranquillità ma devono arrangiarsi come possono. L’anno scorso abbiamo deciso di aiutare anche 25 anziani con interventi mirati e semplici, garantendo loro assistenza sanitaria gratuita presso il Comedor Infantil (ma anche a domicilio quando non si possono muovere), cibo perché gli anziani sono fragili anche e soprattutto da questo punto di vista e momenti di convivialità all’interno del Comedor Infantil. Come? Con due progetti: i pranzi conviviali, tutti insieme (anziani e bambini) una volta al mese (un appuntamento fisso che piace molto), e la “bolsa solidaria” che consiste nel dare, una volta al mese, ad ogni anziano, una borsa di alimenti. Il pranzo è gratuito mentre, per chi può permetterselo, la borsa viene ritirata con un contributo di 10 quetzales (poco più di un euro) per evitare l’assistenzialismo che non porta mai a nulla. Che alimenti contiene la borsa? Mas, fagioli, olio, avena, sale, Incaparina, zucchero e tutto ciò che serve loro cercando di inserire, ogni mese, un prodotto diverso.

 Perché mettiamo in rete questa notizia? Beh, per due motivi: abbiamo bisogno di far conoscere quello che facciamo in Guatemala in collaborazione con la gente della baraccopoli di Santa Gertrudis e con l’associazione locale Asociacio Moises Lira Serafin; sensibilizzare sull’importanza del continuare ad essere solidali; trovare persone che abbiano voglia di sostenere i nostri progetti e, nello specifico, un micro progetto come questo che richiede un impegno economico mensile di 8 euro per finanziare una borsa di alimenti.

Noi siamo qui ad aspettarvi. Qui ancora, dopo 18 anni, per continuare a rimanere solidali.

Maroooonna!!!

Questo direbbe la mia collega, toccandosi la testa e chiudendo gli occhi come fa sempre quando le racconto quello che vediamo e incontriamo in Guatemala, in alcune zone del Guatemala. Direbbe così, sono sicuro, sentendomi raccontare di chi vive nella discarica di Coban che è…non saprei come definirla…..uno dei tanti luoghi degli ultimi, mai vista una cosa del genere, dove è inumano e contro ogni logica vivere e permettere di vivere (ma lo stato e la società civi...le dove sono?). Qui c’è gente e tantissimi bambini che sopravvivono e ci lavorano smistando di tutto: plastica, carta, metallo, cibo, merda. 

 E poi tanti cani. Uomini, donne, bambini, cani e tanti uccellacci neri, quegli schifosissimi zopilote, che si nutrono di animali morti. Questo abbiamo visto quando siamo entrati nella discarica di Coban insieme a tanta disperazione e sofferenza in chi ci ha visto arrivare e scaricare dal pickup i contenitori del pasto di mezzogiorno (avevamo accompagnato un prete di Coban che gestisce una comunità, li vicino, con scuole di diverso grado e laboratori dove si impara un lavoro). Questo prete, si può essere o no d’accordo con lui (assistenzialismo?????), porta tutti i giorni nella discarica, cibo, acqua e tutto ciò che serve per sopravvivere perché la gente ha fame. Lui, insieme ai suoi collaboratori, è uno di quei tanti cittadini attivi che comunque si impegna e fa qualche cosa.
Ma avevamo anche accompagnato Caterina, psicologa e volontaria nella Escuelita Feliz che si trova all’interno della discarica. Una scuola che fa studiare, tutti i giorni, 10 vispi ragazzini di età differenti. Un’alternativa al degrado e alla povertà estrema nata da un’idea di Caterina che con passione e fatica lotta tutti giorni per garantire il diritto allo studio a questi 10 bimbi.
Questo progetto sospeso ha bisogno di tutti noi.
Contattateci se desiderate darci una mano per continuare a rimanere solidali.

VIVERE IN UNA BARACCOPOLI.. CON DIGNITA'!


Ecco alcune scene di vita quotidiana nella baraccopoli di S. Gertrudis, El Rancho, altro progetto che supportiamo dal... 2012 insieme ad RAINBOW GUATEMALA(http://www.rainbowprojects.it/…/idea/rainbow-guatemala.html…)
Questi sono tristi ritratti che si vedono spesso nei documentari in TV, ma quando si vivono in prima persona lasciano un segno indelebile nel cuore.. Nonostante la povertà e l'assenza pressochè totale di diritti umani e opportunità socio-economiche, ci imbattiamo sempre in persone che hanno trovato una certa serenità e bimbi che regalano sempre un sorriso.
Ciò rappresenta un esempio maestro di vita.. la dignità a prescindere dalle condizioni di vita..

(Grazie a Caterina vetro per l'importante aiuto)








sabato 2 luglio 2016

"Comedor Infantil-Casa 4 luglio": Cumpliendo 4 años de servicio a la niñez de Santa Gertrudis


Cooperazione? Pensare e Lavorare come un "noi"

Grazie a Etixx Corporation, labopharm, s.a. e al nostro buon amico Williams Carrera, le giornate di " peso-taglia"

dove i bambini vengono pesati e controllati in altezza per capire se la loro alimentazione è sana e bilanciata,  si sono realizzate nel migliore dei modi presso il Comedor Infantil nella comunità di Santa Gertrude, San Agustin AC., El progresso.

Grazie alla dottoressa Gabriela Toledo per la disponibilità ad esserci sempre e all'associazione Moises Lira per portare avanti il programma di salute preventiva.

JORNADAS MEDICAS.

Continua il progetto "JORNADAS MEDICAS" presso il Comedor Infantil.
Una volta alla settimana il dottore arriva nella struttura per offrire consulenze mediche gratuite alle bambine, ai bambini, agli anziani e a tutti coloro che hanno necessità di soddisfare un bisogno sanitario.
Come sempre, da quando è partito questo progetto, visite gratuite (solo chi può permetterselo paga una cifra simbolica di 2 euro) e distribuzione di farmaci solo quando serve.
Ma non solo: essendo Santa Gertrudis abitata da tanti anziani, due medici, grazie ad un accordo con l'Università San Carlos di Città del Guatemala, una volta alla settimana, mettono a disposizione il loro sapere presso il Comedor recandosi a domicili per assistere chi non può uscire da casa.

Schiave & invisibili: in fuga dall’inferno

Un fiume di donne. Scappano dal Sudamerica per raggiungere gli Usa ed evitare di essere torturate, stuprate, vendute ai mercanti del sesso. Un libro fa luce sulle storie atroci di queste migranti.

Giovanni Serafini                                                                                                                                      Settimanale Il piacere della Lettura, sabato 25 giugno 2016
 
Una terra senza riparo in cui le donne sono la preda designata, ombre umane cui nessuno s’interessa. Storie di violenze, di stupri, di torture, di corpi venduti, di speranze umiliate: è in questo mondo disumano che ci accompagna la giovane giornalista francese Camilla Panhard. Protagoniste del suo libro (“No women’s land”, edito da Les Arènes) sono le donne che ogni anno scappano a migliaia dall’Honduras, dal Guatemala, dal Salvador, dal Nicaragua.                                                      SONO le “altre migranti”, una realtà di cui da noi si parla poco, fiume umano in fuga verso gli Stati Uniti per sfuggire alla fame, alla prostituzione forzata, al dominio delle gang. Il loro viaggio dura settimane, a piedi, sul tetto di un treno, a bordo di autobus scassati. Un pellegrinaggio attraverso l’inferno durante il quale molte di loro scompaiono nel nulla: rapite da trafficanti che le vendono come schiave sessuali o le uccidono a colpi di machete per derubarle. Conoscono i rischi che corrono, sanno che il tragitto sarà un calvario, ma non hanno scelta. L’unico barlume di luce nel tunnel dell’orrore è l’aiuto della Chiesa cattolica: 52 rifugi in tutto il Messico gestiti da preti coraggiosi che non negano mail il soccorso, neanche al prezzo della vita.                                         Come mai non c’è traccia nelle nostre cronache di queste migranti del Centro America?           “Sono storie che avvengono lontano da noi, dall’altra parte del mondo. Io stessa le ho scoperte per caso, in occasione di un viaggio per turismo in Messico. Non sapevo niente di quel mondo di mafia, di corruzione , di omicidi, di compravendita di corpi umani. La lotta per la vita di queste eroine anonime mi ha affascinato e ho deciso di condurre un’inchiesta, durata 5 anni, per far conoscere a tutti le storie di Claudia, Mercedes, Ilka, Kristin, Griselda, Johanna, Sonia e tante altre”.   
                  
Cos’è che l’ha colpita maggiormente?                                                                                                              “I viaggi di quelle disgraziate sui tetti dei vagoni ferroviari. Lo spazio è minimo, la gente è tantissima. Se ti addormenti sei finito: è facile che ti buttino giù per guadagnare un po’ di spazio. Le donne sono più deboli, dunque più esposte. Il treno ha nomi diversi a seconda dei territori che attraversa: quello del Ciapas si chiama “la bestia”, quello che arriva a Veracruz è “il verme d’acciaio”, quello che percorre i deserti del Nord è “il cavallo di ferro”. Le soste sono pericolosissime. Le stazioni sono piene di banditi. Non puoi fidarti di nessuno”.                                                                                            Perché rapiscono le donne?                                                                                                                               “I trafficanti chiedono un riscatto alle famiglie, 3 mila, 5 mila dollari. Oppure le obbligano a prostituirsi. È una morte lenta: alcune impazziscono, altre soccombono all’Aids. Ai prosseneti basta un’occhiata per sapere quanto tempo una donna potrà durare. Prima le fanno girare dei film porno, poi la vendono a un bordello. A volte sono gli stessi poliziotti ad abusare delle migranti: le portano via in macchina e dopo le abbandonano in slip lungo la strada”.                                                                Ci sono statistiche sul numero delle donne sequestrate e uccise?                                                “Secondo la Natinal Comission for Human Rights messicana, nel 2010 sono scomparsi 11 mila migranti, nella stragrande maggioranza donne. Fra il 2007 e il 2014 le vittime sono state 164.365. in quello stesso periodo in Iraq i morti sono stati 81.636 e in Afghanistan 21.415. le violenze contro le migranti restano quasi sempre impunite: il loro viaggio si svolge in completa illegalità, non hanno documenti, l’anonimato le trasforma in prede ideali. Nessuno si preoccupa per loro. Sono nate in paesi in cui i delitti a sfondo sessuale non compaiono neanche nelle brevi di cronaca. Un rapporto di Amnesty International afferma che in Salvador, in Honduras o in Nicaragua 8 donne su 10 sono vittime di violenza carnale. Loro lo sanno ma non possono farci niente: la loro unica possibilità di difesa è usare un contraccettivo”.                                                                                                           Quanto costa un viaggio fino alla frontiera tra il Messico e gli Usa?                                                        “Moltissimo: anche 7 mila dollari, una cifra stratosferica in quei paesi”.
 
 
Ma perché vogliono andare proprio negli Stati Uniti?                                                                        “Perché là guadagneranno molto di più, come badanti o donne di servizio. Potranno rifarsi una vita e soprattutto mettere da parte dei soldi da spedire a casa, per far studiare i figli che sono rimasti". Ci parli dei 52 rifugi sparsi lungo tutto il tragitto messicano che sono gestiti dalla Chiesa cattolica. “Rappresentano in moltissimi casi l’unica salvezza. Le migranti hanno l’elenco in tasca, sanno che in alcuni centri troveranno anche l’assistenza medica e che negli altri, i più poveri, potranno comunque trascorrere una notte al sicuro. Il rifugio più famoso è quello di padre Alejandro Solalilde, un sacerdote messicano che vive a Ixtepec, nello stato di Oaxaca. Una sera gli sono arrivate tutte insieme 400 persone. Lui non si è perso d’animo: ha preparato una zuppa per tutti e ha steso dei cartoni all’aperto, sul campo, dove i migranti hanno dormito. Padre Solalilde è un eroe: ha ricevuto minacce, intimidazioni, maltrattamenti, ma è sempre andato avanti senza preoccuparsene”.