domenica 17 dicembre 2017

“Presi nella Rete”. Intervista a Giulia Dezza
di Daniela Scherrer - Giornalista -

Educare alla solidarietà è innanzitutto educare all’acquisto.
E garantire la qualità di quell’acquisto. Ecco allora che una cornice portafoto è elegante e diventa un regalo perfetto grazie alla bravura di chi l’ha realizzata e non perché l’artista è disabile. E quei biscotti al cioccolato si comperano perché sono buoni, non perché si aiutano i detenuti di una casa circondariale.
Ecco spiegata in breve la filosofia alla base della scelta di cinque donne intraprendenti, che hanno deciso di investire denaro, forze e creatività nella onlus “Presi nella rete”, che si è concretizzata nel negozio di Pavia, in corso Garibaldi: Giulia, Serena, Vittoria, Antonella e Pinuccia.
Il “fil rouge” di tutta l’attività è lavorare con le realtà sociali del territorio lombardo - l’ormai famoso chilometro zero - per aiutare loro, ma anche il Sud del mondo.
Un discorso che va oltre il sostegno di un progetto con gli avanzi di cassa, ma che punta a reinvestire questi ultimi per ingrandire sempre di più quel progetto, finanziarne di nuovi ed anche appoggiare realtà del profit che hanno progettualità stabili.
“Presi nella Rete” affonda le sue radici in una precedente esperienza, datata 2004 e alimentata dalla Cooperativa sociale pavese “La Piracanta”.
La volontà era quella di sostenere un progetto che prevedesse un negozio in cui dare spazio ai prodotti artigianali di altre Cooperative del territorio.
E proprio Giulia Dezza, una delle socie di “Presi nella Rete” fu l’anima di questo negozio per dieci anni, prima che la Cooperativa concludesse il progetto.
Giulia fa parte anche di Ains, la onlus che è attiva in Guatemala e che ha avuto grossa parte anche nella nascita di “Presi nella Rete”.
Se oggi Giulia, che tradizionalmente preferisce i fatti alle parole, ha accettato di raccontare la sua esperienza è perché spera che il cammino percorso, la trafila affrontata e anche le difficoltà incontrate possano servire ad aiutare altre persone di buona volontà a ripetere simili iniziative.
Innanzitutto Giulia è la testimonianza concreta di come l’entusiasmo e la caparbietà di arrivare ad un risultato positivo, ma anche la volontà di crescere e di formarsi, alla fine risultino vincenti.
Giulia infatti nel 2004 si è trovata a intraprendere un’avventura completamente nuova: non proveniva dal mondo del sociale, non conosceva la realtà delle Cooperative e quindi si trovava a dover riempire gli scaffali di un negozio vuoto partendo proprio da zero.
Giulia, quali sono stati i primi passi che hai compiuto?
“Non avendo nulla da vendere come Cooperativa La Piracanta, il primo passo è stato quello di cercare e contattare Cooperative del territorio che avessero produzioni artigianali da mettere in commercio, centri per disabili e anziani, carceri”.
Da quale ambito sono giunte le prime disponibilità?
“Dalle realtà legate alla disabilità, che hanno dimostrato subito grande interesse. Penso ai centri diurni per disabili, ad esempio, che al loro interno hanno ampi laboratori produttivi e che hanno colto al volo l’opportunità di entrare nella società con i loro prodotti. Gli oggetti realizzati non erano più esposti solo in occasione di feste ed Open Day interni, ma andavo sugli scaffali di un negozio per essere visti da tanta gente e venduti. Questo aiutava a crescere e stimolava innanzitutto l’utente del centro. Poi a ventaglio ci siamo allargati a Cooperative di altri settori, che magari inizialmente avevano trovato maggiori difficoltà perché non erano strutturate al loro interno per produzioni di un certo tipo o avevano problemi a individuare referenti di laboratorio”.
Quali le difficoltà maggiori che si incontrano?
“I problemi interni a queste strutture, di ordine burocratico, che portano a dilatare i tempi di inizio di una collaborazione.
E con alcune Cooperative inizialmente anche una certa diffidenza, nei confronti miei e delle altre Cooperative partecipanti.
Sembrava ci fosse quasi paura a confondere “orticelli” diversi.
Non è stato facile presentarmi come Cooperativa sociale che voleva vendere prodotti di altre Cooperative.
Ci sono voluti un paio d’anni per stringere legami con una decina di Cooperative”.

Sveliamo un segreto… Proprio la difficoltà iniziale a riempire il negozio è stata alla base di una intuizione che è diventata poi la molla scatenante… Parlo degli ormai celebri “gatti neri” sagomati per gli stipiti di porte e finestre che sono il vostro elemento distintivo…
“Sì, la difficoltà dell’inizio, quando in negozio entrava poca gente e i tempi di attesa erano lunghi, ho cercato qualcosa che potesse diventare autoproduzione. Ed ecco l’idea dei gatti neri, proprio come creatività anti-noia. Devo dire che ha funzionato molto bene, davvero. Poi si è aggiunta anche la proposta delle bomboniere, tutte confezionate con prodotti equo-solidali o a chilometro zero”
Quando si lavora con queste Cooperative c’è il rischio di avere prodotti qualitativamente inferiori a certi standard, oppure non ti sei imbattuta in queste difficoltà?
“In verità mi è capitato molto raramente di imbattermi in standard qualitativi non all’altezza. Quasi sempre, anzi, questi standards erano decisamente elevati. E questo credo sia uno dei segreti alla base della riuscita di un progetto. Intendo dire che è il bel prodotto e rendere valido il progetto, non viceversa. Noi abbiamo il negozio in pieno centro a Pavia, è chiaro che avvicini veramente la gente al sociale solo se rifuggi dal pietismo. Se un oggetto non è gradevole magari lo acquisti perché cerchi di aiutare un “poverino, poco fortunato”. Ma non è la giusta base su cui lavorare.
Devi vendere un prodotto perché vale veramente, solo in quel caso l’acquirente vede l’artista e non più il disabile, il tossicodipendente, il detenuto. E tornerà in negozio perché soddisfatto”.

Proviamo a tracciare l’identikit del cliente medio di un negozio come il vostro…
“Inizialmente, come è facile immaginare, i clienti erano gli amici della Cooperativa. Poi, quando il negozio si è trasferito vicino a una bottega equo-solidale, abbiamo cominciato a ereditare anche una parte della clientela etica, legata al mondo del sociale. Adesso abbiamo davvero una clientela composita: dallo studente universitario che da noi trova idee originali a prezzi contenuti fino alla cosiddetta “Pavia bene” che cerca oggetti esclusivi.
Il bello è che tutti sono interessati anche al progetto che sta dietro al prodotto che acquistano.
Abbiamo tratto indubbio vantaggio dallo spostamento ancora più in prossimità di corso Cavour, e quindi del cuore della città, in un ambiente che si presta particolarmente al nostro target anche esteriormente: una forma particolare, soffitti in legno che danno agli oggetti una luce speciale. Credo poi sia indispensabile una regola che consiglio a tutti: relazionarsi con chi entra in negozio. Un buongiorno e un sorriso non costano niente, ma sono già un ottimo biglietto da visita”.

E la vetrina? Quanto conta in un’attività di vendita?
“Tantissimo. Una bella vetrina è fondamentale per convincere il potenziale acquirente ad entrare. Del resto quella del vetrinista è una professione ambita, ricercata e ben pagata… Non essendo però vetrinista io ho dovuto capire alcuni dettagli durante il mio percorso. Inizialmente tendevo ad esporre i prodotti a seconda delle realtà di provenienza, poi ho capito che la gente preferisce ammirare in vetrina prodotti diversi e combinati: ad esempio un abito corredato a un gioiello e a qualche accessorio complementare”.
Che cosa auspica per il futuro di questa vostra realtà?
“Che migliori la comunicazione, a livello informativo.
"I clienti che entrano in negozio chiedono molte informazioni, è importante darle sia con materiale cartaceo ma anche attraverso il web. La nostra pagina facebook ha riscontrato molti consensi e con i volontari stiamo allestendo anche il sito. Strumenti indispensabili al giorno d’oggi. E naturalmente c’è bisogno sempre più di volontari, con una connotazione ben specifica: non solo gente che stia in bottega, ma che sia anche disponibile a conoscere i progetti, incontrare le Cooperative. E comunque, riguardo ai volontari, c’è bisogno sempre più di formazione.
E’ necessario inquadrarne le attitudini. C’è chi è portato alla vendita, chi ad allestire la vetrina, chi magari a tenere in ordine il negozio. Io stessa avverto il bisogno di una maggior formazione, che possa integrare l’esperienza acquisita sul campo in questi anni”.

E quale ritiene sia la “vittoria” più importante ottenuta?
“Il fatto che stia nascendo una rete vera anche tra le Cooperative. Spesso oggi sono proprio quelle con cui già lavoro a propormi nomi nuovi di realtà che hanno conosciuto e che ritengono idonee a far parte del progetto. Questo dà l’idea di una voglia di crescere concreta, che contrasta con quei casi di Cooperative sociali che, magari, avendo bisogno di un servizio di pulizie opta per una impresa piuttosto che per una Cooperativa come loro”
Un’ultima domanda: che consiglio si sente di dare a chi vorrebbe replicare altrove la vostra esperienza?
“Il mio consiglio è essenzialmente uno: crederci veramente, perché è un’esperienza che può funzionare e noi siamo qui a dimostrarlo. E poi mi sento di dire che è fondamentale il contatto diretto con le Cooperative, una visita periodica e un rapporto costantemente alimentato. Sicuramente è faticoso, ma decisivo. E anche gratificante, perché arricchisce oltre alla semplice presenza in negozio”.

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